Marzo 20, 2014

"Visiva" con Vargas

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(D. Vargas, La città della poesia, 2012)
Se una relazione esiste tra architettura e poesia, ne rimane una significativa testimonianza nel lavoro svolto negli ultimi trent’anni da Davide Vargas. Aversano, classe 1956, Davide Vargas è certamente una delle menti più innovative tra i professionisti della nostra città.
Intellettuale, architetto-letterato, come lo ha definito Alessandro Mendini, oltre a svolgere l’attività professionale con riconosciuto successo, vanta una ricca produzione letteraria come scrittore.
Per Vargas transitare dalla scrittura all’architettura, dall’immaginario al costruito, dalla parola scritta alla materia è un esercizio necessario ad affinare la sua poetica, per nutrire continuamente la sua creatività e sperimentare nuovi linguaggi.
Il medium che utilizza per passare da un luogo – la scrittura – ad un altro – l’architettura – è, appunto, la poesia.
Sin dai primi anni dell’Università, in un periodo caratterizzato dalla definitiva frantumazione delle certezze del movimento moderno e delle sue tarde declinazioni a cui contribuì l’affermarsi delle neo-avanguardie Radical, Vargas mostra un forte interesse verso queste ultime e sceglie come propria guida Riccardo Dalisi, uno dei pochi e solitari protagonisti napoletani delle neo-avanguardie, con il quale collaborerà per diversi anni all’interno della Facoltà di Architettura di Napoli. La stretta relazione con il movimento radicale è confermata, negli anni, da alcuni episodi fortemente significativi, quali ad esempio la collaborazione con la rivista Domus, voluta nel 2010 dal direttore Alessandro Mendini, oppure dalla continua sperimentazione intrapresa nella trentennale attività di progettazione -come nel caso del Monumento funerario (2012) – che può essere considerato un omaggio a Ettore Sottsass alle sue Metafore, in cui emerge la ricerca di nuovi linguaggi architettonici attraverso i quali l’autore “cercava il legame, il luogo dove il mestiere prende forma e senso dentro il tessuto dell’esistenza” (Barbara Radice).
Ed è proprio questa continua ricerca di riferimenti aulici e simbolici che evita a Vargas di rimanere intrappolato in facili imitazioni linguistiche e che, inoltre, gli consente di trovare una sua precisa connotazione lessicale nonché un suo personale metodo progettuale che assume la poesia come tramite per tradurre le idee in LUOGHI.
Ogni sua opera costruita, ogni suo scritto è un LUOGO, ovvero una realtà portatrice di significati legati, di volta in volta, al contesto, alla storia, alla natura, a ciò che Vargas definisce QUI.
Quel QUI che rappresenta il legame indissolubile che l’architetto instaura con il suo territorio e, in particolar modo, con la sua città ricca di storia ma povera di rinnovamento e nella quale, per fortuna, ha scelto di restare. Tenendo ben presente quel QUI, Vargas inizia ad apprendere il mestiere di architetto scegliendo di ‘andare a bottega’ dalla persona che più di ogni altro poteva garantirgli una solida formazione professionale. La collaborazione con Bartolo D’Angelo, uno dei più innovativi architetti della provincia di Caserta nel periodo che va dagli anni ‘60 agli anni ‘80 e della cui opera abbiamo già avuto modo di parlare nel primo appuntamento di Visiva, è una chiara dimostrazione da parte di Vargas di porre grande attenzione alla propria formazione e crescita lavorativa.
Quel QUI che è descritto in maniera originale nel suo libro più celebre (Racconti di qui, 2009) nel quale, attraverso una innovativa chiave di lettura, ci racconta il territorio della provincia di Caserta -aree incurabili e contraddistinte dalla bruttezza e dalla disarmonia – riuscendo con grande sensibilità a rendere questi LUOGHI più belli, più accettabili, quasi romantici.
Torna quindi il tema della poesia, di cui Vargas si avvale per compiere abbinamenti apparentemente semplici come nel caso in cui riesce a far sposare armonicamente la leggera struttura metallica che regge la copertura con il corpo chiuso del piccolo edificio commerciale su viale Kennedy ad Aversa (1998) oppure per tradurre in architettura sensazioni carpite da mondi paralleli, come quando reinterpreta la tipica struttura della vite maritata trasformandola nel disegno della facciata della casa a righe di Aversa (2001-2004) e così via, in un crescendo graduale, che lo porterà a immaginare una città utopica come la CITTA’ DELLA POESIA descritta nel suo più recente pamphlet pubblicato nel 2012 e che anche in questo caso presenta dei chiari riferimenti alle provocazioni radical dei Superstudio e degli Archizoom.
Un’ultima annotazione va rilevata nel rapporto che lega l’architetto aversano al mondo della natura. In uno dei più recenti progetti – questa volta con la firma di Vargas Associati – l’azienda vinicola a Liberi (2012), la natura diventa parte integrante dell’edificio stesso, rendendosi partecipe del compimento dell’opera architettonica in quanto percepibile da ogni prospettiva: il volume in vetro abbracciato da un diaframma in legno si lascia attraversare dalla natura che lo circonda e il suo corpo ipogeo viene incastonato nella roccia con la quale dialoga attraverso l’utilizzo di materiali volutamente lasciati grezzi.
Così come il progetto del Municipio di San Prisco (1998-2009), tra i più amati dall’autore, si sviluppa attorno ad un enorme albero, un abete, che diventa il fulcro attorno al quale gravita l’intero progetto. L’albero diventa in seguito anche il tema del lavoro letterario più raffinato di Vargas: il libro Alberi (2012).
Il QUI di questo racconto per immagini è il Parco Pozzi di Aversa, che l’autore frequenta quotidianamente per ventitré mattine disegnando ogni volta un albero del parco. Un lavoro certosino, una regola da rispettare, ogni albero una composizione lirica.
 
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